Perché
scelsi la Repubblica di Mussolini.
L’ultimo
racconto di Marino Solfanelli.
di
David
Ferrante
Volevamo fare questa
chiacchierata già dal 2010, per una mia richiesta. Poi gli impegni
personali, il lavoro e i miei tempi da “domani si farà”, fecero
sì che passarono i giorni, che divennero anni, che divenne una vita.
Ci vedevamo non
raramente ed ogni volta il mio «signor Solfanelli, dobbiamo fare
quella cosa» e il suo «quando vuoi David», ipotizzavano un tempo
che mai sarebbe passato e che purtroppo passò. Si fuggiva
irrazionalmente la realtà come se fosse un concetto astratto
proposto in qualche fantasioso racconto di uno di quegli innumerevoli
libri che tassellavano la sua vita e la sua scrivania.
Uscì il suo libro
Un
amore nella bufera,
si narrava di quelle immagini che già mi aveva descritto. Di lui
tradito da coloro "dell’armiamoci e partite". Di lui una
notte intera dentro un canale d’acqua gelida, con i brandelli del
suo commilitone, esploso su una granata, sparsi sul corpo. Una comune
storia d’amore giovanile in un tempo per niente comune. Un tempo in
cui la morte prevaleva ma non riuscì ad uccidere l’amore e la
dignità.
Leggendo le pagine
della sua storia lo immaginavo mentre camminava, chiuso dentro il suo
cappotto, lungo un freddo corso Marrucino mentre, con lo sguardo nel
vuoto, rifletteva canticchiando: “A
noi la morte non ci fa paura”,
come magra consolazione a tutto quel freddo di morte, una grossolana
esorcizzazione della paura, della morte; “ci
si fidanza e ci si fa l’amor, se poi ci avvince e ci porta al
cimitero s’accende un cero e non se ne parla più”.
Troppo forte la luce di quell'onore per arrendersi e tornare
indietro. “Qualcuno
arriccia il naso vorrebbe biasimar ma noi non si fa caso si tira a
camminar
(…) Vogliam
morire tutti crocefissi, per riscattare un’ora di viltà”.
Succede che un
giorno non potemmo bere quel caffè amicale perché non lo trovai
alla sua scrivania, dopo oltre ottant’anni non era più seduto
dietro una tastiera e non ci sarebbe più tornato.
In ospedale? Una
persona sofferente? Non ne avevo la forza ma decisi per quella
promessa fattagli, anzi, fattami. Dolorante, in fin di vita, sul
letto d’ospedale, lucido e profondo come se veramente il tempo
fosse una racconto di fantasia.
«Signor Solfanelli,
allora mi racconta finalmente perché scelse Mussolini dopo l’8
settembre? O aspettiamo un altro po’?»
Probabilmente era la
scusa per salutarci.
«Prima
di aderire alla Repubblica Sociale Italiana ero studente, amavo la
vita e il teatro. Non avevo un buon rapporto con il Fascismo, anzi.
Facevo attività teatrale e con la mia compagnia stavamo per mettere
in scena un’opera. Un commissario di pubblica sicurezza venne a
vedere la prova generale e, dato che un personaggio di quest’opera
prendeva in giro un ispettore di polizia, non ci concesse
l’imprimatur. Non potemmo andare in scena. Le autorità locali
fasciste avrebbero potuto revocare questo diniego ma non lo fecero e
per questo mi incazzai col Fascismo.
Dopo le orrende giornate in cui
bombardarono Pescara1
e dopo che fu costituita la Repubblica Sociale Italiana2,
occorreva che io facessi una scelta: o con gli uni o con gli altri!
Avevo una cultura basata sull’italianità e sull’onore.
Di sprone mi fu
una frase di Alessandro Pavolini: «È
l'antico tricolore che in una lontana primavera nacque senza stemmi
sulla sua parte bianca, là dove noi idealmente iscriviamo, come su
una pagina tornata vergine, una sola parola: "Onore!"»3
E il discorso
alla radio di Graziani che disse: «Chi
vi parla è il Maresciallo d’Italia, il quale, durante la sua lunga
vita di soldato, ha ampiamente conosciuto fortuna e malasorte, e, per
le sue armi, il sole della gloria o l’ombra dell’ingratitudine.
Adesso egli è stato chiamato dal destino a stringere il pugno
intorno alla spada per cancellare la macchia della vergogna, con la
quale l’infedeltà e il tradimento hanno deturpata la bandiera
d’Italia. La fase di ogni tradizione militare è il senso
dell’Onore.»4
…e scelsi per
quella parola: ONORE!
Provai schifo per
ciò che fece la casa regnante e il maresciallo Badoglio5.
Si può uscire da una guerra con dignità, anche come perdenti. Ma
non di certo come fece Badoglio che da un momento all’altro disse
che da quel istante bisognava sparate contro coloro che un attimo
prima erano alleati, i tedeschi.
Fu una ignominia!
Un atteggiamento inaccettabile.
Allora scelsi e
scelsi di stare con Mussolini. Fui scelto per far parte dei servizi
segreti della Repubblica Sociale Italiana e dei servizi speciali
della Guardia Nazionale Repubblicana.
Era mutato lo
spirito della gioventù italiana!
L’Italia non
sarà mai completata finché non si faranno gli italiani!»
1
Durante la Seconda Guerra Mondiale le forze alleate bombardarono
pesantemente la città di Pescara. Il 31 agosto, il 14, 17 e 20
settembre del 1943 i missili alleati distrussero la città abruzzese
causando migliaia di vittime.
2
Repubblica Sociale Italiana (RSI) – La sua nascita viene fatta
risalire al discorso pronunciato il 18 settembre 1943, attraverso
Radio Monaco, da Benito Mussolini, condotto in Germania da soldati
tedeschi dopo averlo liberato dalla prigionia a Campo Imperatore
sulle montagne abruzzesi. Nel discorso, infatti, annunciò la
creazione di uno Stato nazionale e sociale. Il 23 settembre, al suo
rientro in Italia, il Duce proclamò la costituzione della
Repubblica Sociale Italiana. L'Italia era divisa in due: il
Meridione controllato dagli forze alleati sotto la luogotenenza del
Re e il Settentrionale nelle mani dei tedeschi e di Mussolini capo
del neo istituito governo. Il nuovo governo si insediò sulle sponde
del Lago di Garda nei pressi di Salò, da qui l’appellativo
Repubblica di Salò. I ministeri furono dislocati in varie località
della RSI. Il nuovo governo del Duce ebbe fine nella primavera del
1945.
3
Chiusa del discorso di Alessandro Pavolini chiamato a presiedere il
primo ed unico Congresso del Partito Fascista Repubblicano (PFR) ,
tenutosi a Verona nel novembre del 1943.
4
Stralcio del discorso tenuto dal Maresciallo d’Italia Rodolfo
Graziani il 25 settembre 1943 al Teatro Adriano e trasmessa su Radio
Roma, in cui spiega perché ha accettato la nomina a ministro della
difesa della RSI e invita tutti ad arruolarsi nel nuovo esercito
repubblicano.
5
Fuga di Pescara, fuga
di Ortona o fuga di Brindisi:
Il giorno successivo all'annuncio dell’armistizio del 8 settembre
1943, il Re d'Italia Vittorio Emanuele III, il capo del governo il
maresciallo Badoglio, alcuni esponenti della Real Casa, del governo
e dei vertici militari, fuggirono da Roma verso Brindisi lasciando
il Paese e l’esercito senza direttive e allo sbando totale.